La Vitienologia Italiana tra passato, presente e futuro

Come si è evoluto negli ultimi 150 anni il settore vitivinicolo italiano?  Quali sono le tappe che l’hanno caratterizzato? E quali le sfide che si dovranno affrontare in futuro? Questi in sintesi i contenti del pezzo tratto dalla relazione esposta al Congresso nazionale FISAR di Firenze.

Gli ultimi dati disponibili dicono che la produzione mondiale di vino è di circa 270 milioni di ettolitri (27 miliardi di litri) di cui il 60% prodotti nell’Unione Europea. Il nostro Paese è il primo produttore al mondo, tanto che il 17% del vino mondiale e il 28% di quello europeo “parlano italiano”. Nel 2017 ha dato vita a 39 milioni di ettolitri, di qualità complessivamente buona ma alquanto eterogenea, siglando l’annata più scarsa dal 1947 con un decremento del 28% rispetto al 2016 (54,1 milioni di ettolitri). Una situazione generalizzata in tutta Europa (Francia -19%; Spagna -15%; Germania -10%), dovuta all’inusuale, quanto bizzarro andamento climatico e meteorico che ha condizionato il ciclo vegetativo della stragrande maggioranza delle colture agricole, caratterizzato da elevate temperature e scarsissime precipitazioni.

Tra paure e pericoli la caduta di un mito

Ma come si è evoluto negli ultimi 150 anni il settore vitivinicolo italiano?  Quali sono state le tappe che l’hanno caratterizzato?

Partiamo dal “grande cambiamento” che avvenne tra la metà e la fine dell’800 quando la vite e quindi il vino rischiarono di scomparire dall’Europa a causa dell’avvento dall’America di tre virulenti parassiti: l’Oidio, la Fillossera e la Peronospora.

Il pericolo e le preoccupazioni che queste calamità suscitarono fecero capire che non si poteva andare avanti con le tecniche colturali che da secoli venivano tramandate di padre in figlio, ma che ci si doveva basare su concetti e principi di agronomia, fisiologia e biologia, studiando e ricercando le cause che stavano alla base di ogni fenomeno.

Cadde un mito quando si capì che la tradizione da sola non indirizzava i viticoltori, non risolveva i problemi, non sopperiva alle calamità.

La crescita del settore tra innovazione e  tradizione

Così 142 anni fa nasceva a Conegliano (Treviso) il primo Istituto di viticoltura e di enologia d’Europa e quindi del Mondo con lo scopo di assicurare professionisti specializzati in grado di seguire e far proseguire, su basi tecnico-scientifiche, il comparto vitivinicolo.

Ad Oleggio (Novara) nel 1891 venne inaugurata la prima Cantina Sociale d’Italia con lo scopo di vinificare i prodotti di quei viticoltori che, spesso, per mancanza di attrezzature e conoscenze vedevano vanificate intere annate.

Su questa spinta si iniziarono ad ampliare le conoscenze, a razionalizzare i processi produttivi, a dare importanza alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici, all’igiene della cantina e via dicendo. La produzione vitivinicola italiana iniziò ad aumentare e così la sua qualità.

La metamorfosi dei vigneti e delle cantine

Dopo le tragiche esperienze belliche, con la ripresa, dagli anni Sessanta la viticoltura iniziò a perfezionarsi: quella promiscua lasciò il posto a quella specializzata. Il “vigneto Italia” ringiovanì: l’età media degli impianti passò dai 50 ai 30 anni di oggi. Crebbero le dimensioni delle aziende: la loro superficie media vitata aumdentò dai 0,5 ettari ai quasi 10 attuali.

Anche le cantine cambiarono aspetto; da luoghi di ammasso e di mera trasformazione diventarono strutture curate, di grande fascino, fatte per produrre ma anche per essere visitate. La botte vecchia venne messa in discussione, bandite muffe e ragnatele, entrò in scena la barrique. I trattamenti chimici lasciarono il posto a quelli fisici e meccanici, il vino passò da alimento a bevanda voluttuaria.

Dal vino da tavola a quello a denominazione di origine

La generalità iniziò ad essere sostituita dalla specificità legata alla storia e alla cultura del territorio. Negli anni ’80 il “vino da tavola“ in Italia rappresentava quasi il 90% della produzione, attualmente è al 30%. I vini di territorio, ossia quelli ad Indicazione geografica protetta (Igp), non esistevano, oggi sono intorno al 30%; quelli a denominazione di origine controllata e controllata e garantita (Dop) erano solo il 12%, oggi si avvicinano al 40%. (In Francia le Dop sono 357, in Italia 405; le Igp  123, in Italia 118).

Anche il modo di vendere e di acquistare cambiò. Per praticità la bottiglia andò sempre più sostituendosi alla damigiana anche per i vini comuni. Il vino italiano iniziò ad imporsi con successo sui mercati internazionali fino ad allarmare i nostri più diretti competitors.

Sconfitta pesante ripresa eccellente

Ma nel 1986 la sua ascesa si interruppe bruscamente con lo scandalo del vino al metanolo: nel mondo vendite a picco e immagine crollata.

Il boom appena iniziato sembrava finito. Invece, il settore, dopo essersi leccate le ferite, superato il primo momento di sbandamento, capita la lezione, non gettò la spugna ma compatto reagì con  un’offensiva senza precedenti, dando vita ad una nuova primavera del vino italiano che, dopo 5 lunghi anni di duro e sofferto lavoro, ha dato i suoi frutti.

Così nel 2001 le vendite di vino italiano in bottiglia all’estero hanno superato quelle di vino sfuso. Nel 2002 l’Italia ha sorpassato in quantità la Francia nelle vendite negli Stati Uniti che da allora sono il nostro primo mercato. Nel 2003 il vino rappresenta il primo prodotto delle nostre esportazioni agroalimentari con quote di oltre il 25% su importanti mercati come Stati Uniti, Canada, Giappone.

Oggi il 50% della produzione italiana viene venduta all’estero. Ma se in quantità il nostro Paese  è il  primo esportatore di vino al mondo, in valore veniamo superati dalla Francia a cui comunque, anno dopo anno, ci stiamo avvicinando.

Con il vento in poppa fiduciosi nel futuro

Per la nostra economia l’export rappresenta una valvola di sfogo di tutta considerazione visto che i consumi domestici, come in tutti i principali tradizionali Paesi produttori, sono in picchiata. Basti pensare che in  Italia nel 2007 il consumo, per persona per anno, era di 45 litri nel 2016 di 36; in Francia, nello stesso periodo, è sceso da 52  a 44 litri ed in Spagna da 29 a 19.

Il futuro? In un mondo che cambia in modo rapidissimo, dove oggi è già domani, è difficile da ipotizzare. Credo comunque che di  fronte ad una concorrenza qualificata ed agguerrita, ad un consumatore sempre più competente, al concetto di vino come bevanda edonistica e non come alimento, la produzione debba sempre mirare verso i massimi livelli qualitativi.

Attenzione, quando parlo di qualità non intendo solo il prodotto di alta gamma, ma tutto il vino, anche quello generico di tutti i giorni, ovviamente rapportato al prezzo e alla fascia di consumo.

Quello vitivinicolo, a mio avviso, è un settore di grande fascino, ma dinamico e sempre più legato alla cultura, al territorio, alle innovazioni e alle scelte di mercato. Certamente continuerà ad essere un comparto di forte competizione che nei prossimi anni creerà diversi e nuovi livelli di accesa concorrenza.

Chi vincerà? Come sempre i migliori.

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Di Giuseppe Martelli
Presidente del Comitato nazionale Vini MIPAAF