La coltivazione biodinamica

di Lara Loreti

Passeggiare tra le vigne e incontrare caprette, cavalli e pecore. Bearsi del profumo dei fiori e di piante quali rosmarino, alloro, borragine, salvia…

E’ il trionfo della biodiversità, è l’armonia della natura che, se curata e rispettata, restituisce al terreno la sua spontanea ricchezza e fertilità. E’ questa la direzione in cui sta andando la viticoltura. Sempre più all’insegna della coltivazione biodinamica, non più appannaggio di pochi volenterosi, ma obiettivo a cui mira un numero crescente di produttori. E’ così che la nostra meravigliosa Italia dell’uva si scopre amante della terra e delle sue mille sfumature: oggi (i dati sono aggiornati a marzo 2019) sono 138 le aziende vinicole biodinamiche certificate dall’associazione incaricata Demeter (di cui 19 in fase di conversione) con 1705 ettari vitati certificati, coltivati secondo la biodinamica; e si calcola che siano circa 1400 le aziende vinicole biodinamiche senza certificazione. Sono invece 419 le aziende agricole biodinamiche certificate, mentre quelle certificate biologiche, che fanno biodinamica nella prassi, ammontano a 4500. E il dato più interessante è che nel 2018 sono state presentate ben 162 domande da parte di aziende agricole per ottenere il marchio biodinamico Demeter contro le 25 del 2017: un aumento esponenziale che dimostra quanto il fenomeno sia diffuso e quanto la febbre della biodinamica stia salendo a ritmo sostenuto.

Parlando di produttori vinicoli, sul podio delle regioni più virtuose troviamo nell’ordine Abruzzo, Trentino Alto Adige e Toscana, seguite da Sicilia, Piemonte ed Emilia. Fanalini di coda Molise, Lazio e Marche, oltre alla Basilicata. Ma da che cosa dipende questo boom? “L’agricoltura biodinamica potenzia i suoli, e questa ricchezza si trasferisce nelle uve, da cui emerge lo spessore del terroir – dice Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica – Questa caratteristica ha permesso al metodo biodinamico di affermarsi nel mondo del vino con risultati eccellenti. Ed è motivo per cui molti produttori praticano la biodinamica anche senza il certificato, “accontentandosi” della qualità”.

Parla orgoglioso di svolta nel settore Alois Lageder, patron dell’omonima tenuta altoatesina e presidente nazionale Demeter: “Nei nostri 55 ettari, coltiviamo la vite con metodi biodinamici dal 2004. Oggi il trend verso il biologico si nota in tutti gli ambiti, ma se si parla di biodinamica è la viticoltura a fare di traino: grazie a questo sistema, la pianta cresce più vitale e in equilibrio con altre coltivazioni e con gli animali. E ci sono dei vantaggi anche nel contrasto ai cambiamenti climatici. Nella nostra azienda abbiamo assistito a uno sviluppo qualitativo del terreno, della vite e di conseguenza del vino, che offre più armonia, bevibilità e piacere”. Qualità che emergono nello Chardonnay Loöwengang firmato Alois Lageder, vino di bella struttura, complessità ed eleganza, ma anche nel Fórra, a base di Manzoni bianco, un’uva perfetta che dà vita a un prodotto fine e più saporito grazie al contatto prolungato con le bucce. “A chi ha pregiudizi verso la biodinamica dico: provate. Poi se ne riparla”, chiosa Lageder.Quali sono i segreti che rendono speciali i terreni coltivati secondo la biodinamica? Tutto sta a mettere in atto alcune pratiche particolari che permettono ai suoli di rifiorire. Qualche esempio: letame bovino in un corno di vacca, poi interrato e liberato per far rinascere l’humus nella vigna. Fiori di achillea nella vescica di cervo per uno sviluppo armonico delle radici. E per ottimizzare il raccolto e rendere la pianta più rigogliosa, è bene non fare le potature quando la luna è piena, si butterebbero via rami pieni di linfa. In caso di caldo forte e stress della pianta, un’ottima soluzione è usare tisane e the, che rinfrescano il fogliame in modo sano e naturale. Da non sottovalutare poi il potere della musica. Le viti sono esseri viventi e sensibili, come noi. Tu chiamala, se vuoi, agricoltura biodinamica. Al bando chimica e interventi meccanizzati. La natura è perfetta, basta coccolarla e rispettarla. Per poi imbottigliarla e berla così com’è. E magari equilibrare il tutto piantando altre specie e facendo pascolare gli animali tra i filari per concimare i terreni. Però, mai parlare di stregoneria, come azzarda qualcuno. Ironizza così, ma non troppo Saverio Petrilli, esperto di biodinamica, allievo del guru Alex Podolinsky e titolare della Tenuta di Valgiano a Capannori, Lucca – Questi metodi erano già noti nell’antichità e hanno riscontri pratici nella qualità sia della terra sia del prodotto finale. E mai come oggi, in tempo di presa di coscienza di massa delle criticità legate ai cambiamenti climatici, in primis in agricoltura, queste pratiche “omeopatiche” applicate alla vigna stanno conoscendo un vero e proprio boom.

Molti dei produttori vitivinicoli biodinamici sono giovani. Tra loro c’è Enrico Rivetto, piemontese, titolare dell’omonima azienda tra Serralunga e Sinio, a Cuneo, nelle Langhe. Biologico dal 2010 e biodinamico dal 2015, la fattoria si estende per 30 ettari di cui 16 vitati, sei di bosco più l’orto. Non è mancato il coraggio a questo giovane produttore che ha sottratto un ettaro di vigna da Nebbiolo destinato al Barolo (che a Serralunga costa in media 2.5-3 milioni) per piantare rosmarino, lavanda e fiori, allo scopo di favorire la biodiversità. “Ho visto i miei terreni cambiare radicalmente – dice il produttore – La natura è riemersa nella sua complessità, sono tornate api e farfalle: nelle Langhe ci sono solo viti, forse è giunto il momento di diversificare almeno un po’ di coltivazioni, basterebbe anche un 5% ad azienda. Praticare la biodinamica mi ha fatto crescere molto anche al livello personale, mi ha cambiato nell’approccio alle cose. Per esempio, piantare l’orto è stato bellissimo e utile per il mio staff che così può mangiare prodotti freschi perché la terra è sana. Ed è come il corpo: se sta bene reagisce meglio alle difficoltà, siccità compresa”.

Il segreto è nell’humus, come ricorda Saverio Petrilli, che grazie ai metodi biodinamici riacquista vigore e capacità di assorbimento dell’acqua. E i risultati si vedono. Tocca ormai da anni i benefici della biodinamica Francesco Cantini, giovane produttore toscano di Montalcino. Nella sua tenuta Piombaia, 210 ettari circa di cui 12.5 vitati che gestisce con la famiglia, dal 2009 ha scelto un approccio agronomico sostenibile. “Grazie alla biodinamica abbiamo incrementato la qualità e la vitalità microbica dei suoli e di conseguenza delle uve prodotte”, spiega. E con le sue viti Cantini “parla” e si confronta attraverso il linguaggio universale della musica. “Spesso prendo la chitarra e vado a strimpellare in mezzo al vigneto. E’ come se attraverso quelle note potessi collegarmi con lui e mi viene spontaneo pensare che mi ascolta… E’ altrettanto naturale pensare a come portare equilibrio e salute attraverso le pratiche agronomiche. Per esempio creare un inerbimento nel vigneto selezionando le giuste piante che andranno a ricreare la biodiversità è un passaggio fondamentale soprattutto oggi con i cambiamenti climatici in atto. L’inerbimento crea una “pelle” protettiva contro la siccità o la troppa pioggia. La natura ha già tutti gli strumenti per essere in grado di gestire le situazioni difficili e ci dona un meraviglioso esempio di equilibrio e vitalità”.

C’è chi tra i filari suona il trombone: è la passione di Gabriele Da Prato, viticoltore di Podere Concori a Gallicano (Lucca) e presidente dell’associazione Vite. Certificato Demeter, vero trascinatore nel settore, Da Prato coltiva il vigneto in armonia con gli animali, cavalli compresi. E colleziona premi in tutto il mondo, ha anche ricevuto una onorificenza dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: era il 2016 quando ricevette la “Medaglia di Cangrande” come “Benemerito per la viticoltura”. Splendido il suo pluripremiato “Melograno”, un Syrah dove frutto e spezie si fonde in un bouquet i perfetta armonia con il gusto.

Biodinamico sì, ma fino a un certo punto Roberto Cipresso, enologo veneto di fama mondiale, noto soprattutto per le sue esperienze in America Latina. “Credo nella forza del compost, nelle fasi lunari e nella gestione naturale del vigneto, ma il prodotto non deve mai essere schiavo di una disciplina perché si rischia l’omologazione: la biodinamica non deve essere un alibi per vini insufficienti. La regola a mio avviso deve essere il buon senso. Oggi, con il riscaldamento del pianeta, i vini del futuro sono legati alla verticalità, quindi alla montagna. Un tema che sto studiando con il Cervim, Centro di ricerca, studi e valorizzazione per la viticoltura di montagna”.
A questo punto, non resta che degustare. Il vino biodinamico ideale – nota Petrilli – è delicato, leggero, con un frutto intenso, mai aspro e morbido. “Perché la pianta – spiega lo studioso, biodinamico da 20 anni – è più efficiente nella fotosintesi quindi produce più aromi e ha tannini più maturi”. Insomma, l’ultima parola ce l’ha il calice.

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