Il futuro è anche in Cina
L’Italia del vino chiude il 2018 in Cina con un valore delle vendite a 142,3 milioni di euro ed è il quinto Paese fornitore dietro la Spagna con una crescita del prezzo medio del 3,1%.
A rilevare il dato, con un -0,2% rispetto al 2017, è l’ Osservatorio Vinitaly-Nomisma wine monitor su base doganale in occasione di Vinitaly China Chengdu (17-20 marzo) e nell’ambito dell’International Wine and Spirit Show di Chengdu, la più antica fiera cinese dedicata al vino e agli alcolici alla quale partecipano oltre 200 cantine italiane e 60 espositori uniti sotto il marchio di Vinitaly.
Dal report economico emerge in particolare che la Cina, a livello mondiale, ha acquistato vino per un valore complessivo di oltre 2,4 miliardi di euro ed è ormai a un passo- spiega una nota- dalla top 3 dei buyer mondiali (Usa, Regno Unito e Germania). Market leader, sebbene in calo (-7,2%), è sempre la Francia (903 milioni di euro), seguita da Australia (660 milioni di euro) e Cile, in rimonta anche grazie al favorevole regime dei dazi. “Vinitaly- commenta il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani – è il brand forte del vino italiano in Cina, un marchio riconosciuto su cui stiamo costruendo un modello tutto italiano di promozione in Asia”. “Il vino del Balpaese – aggiunge- ha bisogno di incrementare la propria posizione in un mercato della domanda cresciuto del 106% negli ultimi 5 anni, esattamente 89 volte più di quello tedesco”.
La Cina è anche destinata a guadagnare tantissimo dalla filiera produttiva del vino, ma quello che forse non è chiaro e quanto la nuova strategia del Partito comunista possa offrire ottime opportunità a chi il settore lo conosce bene, italiani in testa. Laddove il know how non esiste o non è ancora di un livello sufficientemente elevato, infatti, la Cina ha sempre cercato di importarlo dall’estero. Ecco perché l’Italia dovrebbe cercare di trovare il modo per riuscire, prima di altri, ad affiancare la Repubblica popolare in questa sua nuova avventura.
Fonte: ANSA